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50 Anni di Comin: una festa che è stata una casa

Sono le 19:30 di Venerdì 23 maggio. Abbiamo finito di caricare tutto l’occorrente per la festa, abbiamo assegnato compiti, chiuso i conti, dato l’ultima occhiata alle scalette e ai dettagli. Guardo i miei colleghi: quelli che da mesi camminano accanto a me in questo lungo percorso che ci porterà a domani. Nei loro occhi, lo specchio dei miei: stanchi, ma vivi. Non è un sorriso tirato quello che vedo, ma il sorriso fiducioso di chi sa, o spera con tutto il cuore, che domani sarà una giornata speciale.

Torno a casa. Potrebbe essere una sera importante per me: stasera la squadra della mia terra si gioca qualcosa di grande. Non ho mai capito davvero cos’è un fuorigioco, ma tifo per appartenenza, per radici. E vinceremo, sì. Ma non riesco a pensare ad altro che alla giornata che ci aspetta. Sono emozionata come nella “notte prima degli esami”, e so che con me lo sono anche tutti gli altri: non solo chi ha lavorato all’organizzazione, ma chi ogni giorno, da cinquant’anni, si alza per costruire relazioni, ricucire legami, dare voce, prendersi cura, lottare per i diritti.

A volte dimentichiamo quanto sia importante ciò che facciamo. Non ci svegliamo emozionati ogni mattina, è vero. Ma il nostro ruolo è fondamentale: siamo pezzi di un puzzle complesso, costruito per una società più inclusiva, più giusta, più umana.

Il 24 maggio non festeggiamo solo una cooperativa. Festeggiamo Comin, che non è una struttura, ma una persona fatta da tante piccole persone, proprio come nel meraviglioso albo di Leo Lionni, Pezzettino.

La notte scorre irrequieta. Alle 5 sono già sveglia. Aspetto. Ogni minuto sembra raddoppiare. Quando finalmente arrivo in villa, vedo negli occhi dei soci la stessa tensione carica d’attesa, la stessa fatica, lo stesso entusiasmo. La villa è bella, ma fredda. Spoglia.

Poi arrivano loro: i volontari. I “pezzettini” che danno vita a Comin. E con le mani, con la presenza, con gli sguardi rivolti al futuro, trasformano un luogo qualsiasi in una casa. E mentre sistemo, mi guardo attorno e mi riconosco: nei sorrisi, nelle parole, negli abbracci, negli eventi.

La mattinata vola. È tempo di accogliere. Arrivano i primi amici, con occhi felici e tanta curiosità. Il sole splende, ma con gentilezza. Come noi. Ci cerchiamo, ci troviamo, ci riconosciamo anche fuori dai contesti usuali. È bello. È vero.

Gli eventi si susseguono, uno dopo l’altro, e sento che tutto sta andando bene. Lo sento nell’aria, nell’energia, nei gesti. È come se accanto a me ci fosse una sola, grande persona: Comin.

Poi arriva la sera. Le luci si accendono. Dopo un discorso caldo, deciso, parte il concerto. Incrocio lo sguardo di una collega, ci avviciniamo, ci abbracciamo. E in quell’abbraccio c’è l’amore di tutti gli incontri vissuti in quella giornata. 

Vorrei trovare le parole giuste per raccontarlo, ma forse c’è solo un termine, semplice,  banale, che riesce a racchiudere tutto: bellezza.

Balliamo. Ridiamo. Parliamo. E, all’improvviso, è già ora di caricare i furgoni.

Torno a casa, stanca ma piena. Piena di gioia, di volti, di voci, di senso.

Sono le 8:30 di Domenica 26 maggio. Torniamo in villa per caricare le ultime cose. C’è un’aria nostalgica, come quando si riguardano vecchie foto d’amore. E mi sento anche un po’ sciocca a provare tutto questo, ma è reale. La villa si svuota, torna bella, ma impersonale. Anche se sono certa che l’amore di ieri sia rimasto lì, nei muri, nel prato, in ogni dettaglio.

Cominciano ad arrivare i messaggi. Tanti. Di gratitudine, di entusiasmo, di affetto. Ma ce n’è uno che ci ha colpito profondamente, e vogliamo condividerlo. Perché racchiude tutto ciò che abbiamo vissuto:

“La festa di ieri mi ha trasmesso alcune parole importanti che sottostanno a tutte le fatiche, frustrazioni e incomprensioni:

Bellezza: tutto è stato BELLO! Dal meteo al giardino, dal buffet ai concerti, dai sassi ai fiori delle Signore del Tempo… fino a ciascuna persona che ho incontrato o anche solo visto passare.
Cura: che nasce dalla fiducia nella Bellezza, ma anche cura che rende possibile che essa si esprima pienamente. Cura per ogni dettaglio, dal vostro vestito alla preparazione dei tavolini, dai laboratori ai sorrisi all’ingresso.
Legami e naturalezza: ieri non c’era formalità e ingessatura da festa ufficiale, ma la serenità di una festa tra persone con cui hai legami profondi, anche se magari non le vedi da anni. 

Grazie a voi perché siete riuscite a rendere possibile qualcosa di memorabile, comunicabile e VERO. Un evento dove ciascuno – dal neonato allo stagionato, dai figli dei soci ai loro genitori, dai Banana Tribe ai Patagarri, dal neo socio alla presidente – ha potuto sentirsi a suo agio, sentirsi a casa, esprimersi pienamente per ciò che è.”**

Grazie a tutti. A chi ha costruito, a chi ha partecipato, a chi ha sentito.
Grazie a Comin, perché in fondo, Comin siamo noi.