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Chi si ricorderà di me?

Sara sta leggendo l’ultimo messaggio di Ali un abitante di Gaza, incrociato sui social, con cui è riuscita ad intrecciare un rapporto stretto garantendo un anche sostegno pratico a lui e alla sua famiglia. 

A questo punto del messaggio, Ali si pone e ci pone questa domanda. Chi si ricorderà di me? 

Sente la morte vicino, quotidiana compagna di ogni sua giornata, la sua famiglia è quasi estinta e la cerchia dei suoi amici si è assai assottigliata. Una domanda pesante ed infatti la commozione, tenuta a freno fino al punto, viene fuori. Prima in Sara che deve fermare il suo racconto, poi nelle persone presenti. Anche io non riesco a trattenere le lacrime.

Siamo a Mosso, all’incontro organizzato da Comin. Cosa succede a Gaza? 

Se ne parla ormai in molte situazioni, specialmente sui mezzi di comunicazione. 

Questa volta è un incontro con storie concrete di persone incontrate, conosciute e amate dalle tre donne che ci stanno portando la loro testimonianza.  

Un’attivista di Mediterranea, ci parla dell’esperienza sua e dell’organizzazione a cui appartiene, di vicinanza fisica di interposizione in Cisgiordania a fianco dei contadini, vessati in maniera pesante dai coloni israeliani, spalleggiati dal governo e dall’esercito per spingere con soprusi insostenibili i contadini palestinesi a lasciare terra e casa per appropriarsene. È infatti in vigore una legge secondo cui se un terreno è abbandonato da tre anni diventa proprietà dello stato di Israele. Ci presenta la convinzione forte dei contadini palestinesi per resistere ai soprusi, per ricostruire ogni volta le abitazioni danneggiate o rivitalizzare le coltivazioni. 

Resistere per salvare la propria terra, la propria casa. 

Racconta di quanto sia importante per loro sentire la vicinanza, in questo caso anche fisica, degli attivisti di Mediterranea e del progetto Colomba, che li accompagnano per scoraggiare le incursioni, i raid e le violenze di ogni genere dei coloni. Anche se a volte sembra che anche la loro presenza divenga via via meno scoraggiante. 

E il suo racconto è reso vivo dal suo incontro con Sheikh Saeed, un contadino a cui è stata amputata una gamba, per lo sparo di un colono. Era intervenuto per difendere il figlio sedicenne aggredito in campagna da un gruppo di coloni perché aveva cercato di impedire la distruzione dei tubi dell’impianto di irrigazione del loro campo. Il proiettile è rimasto conficcato a lungo e il sangue bloccato con un laccio di fortuna. L’ambulanza ha impiegato molto tempo ad arrivare e il primo intervento di soccorso si è svolto in un ambiente sanitario di fortuna. 

Se vuoi saperne di più il link all’articolo: Colono spara a un padre palestinese 

Molto difficile il tragitto verso l’ospedale, esempio di quanto sia ostacolato nella quotidianità lo spostamento dei palestinesi nel proprio territorio soprattutto per gli innumerevoli posti di blocco, che appunto bloccano, a volte per tempi lunghi, con il pretesto di operare controlli. Ingiusto e umiliante che il figlio sia stato arrestato e incarcerato mentre il colono se ne va ancora in giro libero, con il suo fucile a tracolla. 

Poi la testimonianza di un’attivista di Casa Pace che ricorda gli ostacoli incontrati nel tentativo di portare, assieme a molti altri, la voce solidale al popolo palestinese. Ostacoli anche da parte di paesi arabi, come l’Egitto, nel caso della marcia della pace, prevista per il 15 Giugno 2025: più di 6000 attivisti e semplici cittadini si erano ritrovati al Cairo con l’obiettivo di raggiungere il valico di Rafah, da mesi chiuso dai soldati israeliani, impedendo l’ingresso di aiuti alla striscia. Marcia che non ha mai avuto l’autorizzazione per partire. 

Spontaneo per noi tutti il sentimento di vicinanza alla Global Sumud Flottilla in viaggio proprio in questi giorni. Un viaggio che rischia di essere praticamente improduttivo ma che rimane prezioso perché evidenzia e mette in gioco il dolore e l’amore di molti cittadini che non vogliono restare indifferenti e inoperosi, di fronte a governi che, per diversi interessi, restano fermi senza bloccare il genocidio e le sofferenze.

E poi Sara che appunto ci racconta di Ali che avrebbe voluto collegarsi direttamente ma purtroppo si trova in una situazione molto difficile e non riesce a farsi sentire ormai da tre giorni. Ci legge il suo ultimo messaggio, davvero drammatico, e ci mostra alcuni degli altri video ricevuti. Ci presenta con convinzione l’importanza di trovare modi di far sentire la nostra vicinanza, davvero consolante, e di trovare forme per fornire aiuti pratici, anche se spesso nel tragitto vengono assottigliati.

E poi si è aperto il dibattito. 

Molti interventi, brevi ma concreti. Tutti con l’intento di individuare le forme possibili, alla cooperativa nel suo insieme ma anche ai singoli soci, per pensare e attuare azioni concrete di vicinanza alla gente palestinese. 

Ringraziamo davvero il nostro CdA, per aver trovato il tempo di allargare lo sguardo, nonostante i problemi che si trovano a gestire per curare la nostra organizzazione e rendere possibile il nostro lavoro quotidiano di solidarietà. E di questo andiamo fieri. Ora si dovranno concretizzare le proposte emerse durante il dibattito. Ma anche incentivare in modo specifico la comunicazione, a cominciare dai contributi preziosi, portati nella serata che abbiamo esposto solo per sommi capi. Un passo anche per favorire coinvolgimento di altri soggetti.

Voglio concludere questo racconto copiando l’ultimo messaggio di Ali ricevuto da Sara il 9 settembre.

Un messaggio d’addio da un cuore assediato nel nord di Gaza

Dalla fine del quartiere Sheikh Radwan, all’inizio del quartiere Al-Nasr.

Ai pochi amici rimasti in questo mondo,

I bombardamenti non si sono fermati da stamattina. La terra trema intorno a noi.

Niente cibo, nessuna sicurezza, solo il suono delle esplosioni.

Non ho mangiato nulla oggi. Non riesco nemmeno a ricordare l’ultima volta che ho sentito fame… 

la paura ti fa dimenticare tutto.

Siamo intrappolati. Chiunque si muove viene colpito o bombardato. Il terrore riempie ogni cosa, e il fumo copre il cielo. Non c’è via di fuga.

Vi scrivo ora tramite una debole scheda SIM internet chiamata “e-sim.”

Non so per quanto reggerà il segnale… forse non riuscirò più a scrivere.

Vi voglio bene e vi porto nel cuore.

Questo potrebbe essere il mio ultimo messaggio.

Per favore, non dimenticateci.

Non pensate che siamo solo numeri nelle notizie.

*

Siamo esseri umani, proprio come voi. Sogniamo, amiamo, abbiamo paura e piangiamo.

Il mondo è crudele. Oscuro.

Ma non deve restare così.

Non essere parte di questa oscurità.

Continua a parlare di noi, anche se morirò.

Continua a gridare per chi resta.

Combatti con la tua voce, le tue parole, la tua verità.

Non sono un animale.

Sono un essere umano.

Sono figlio di questa terra, voce di questo assedio.

Un giorno, potresti trovarti al mio posto.

Un giorno, potresti aver bisogno che qualcuno alzi la voce per te.

Svegliati.

La mia famiglia e io stiamo morendo qui, lentamente e in silenzio.

Non lasciare che seppelliscano le nostre voci con noi.

Non dimenticarci.

Con ciò che resta del mio cuore,

Un figlio assediato di Gaza.

9/9/2025

Fortunatamente poi sabato è arrivato a Sara un nuovo messaggio. Ali è vivo. Sono arrivati a Deir al Balah. E Sara ce lo ha comunicato: Ali è arrivato a Deir al Balah ed è riuscito a inviarmi alcune foto stamattina (che potete vedere qui sotto). La connessione è debole e non è ancora riuscito a raccontarmi del viaggio perché per riuscire a prendere il segnale deve andare sulla spiaggia. Arrivati al campo hanno regalato loro quel ramo di datteri che vedete appeso, in segno di benvenuto. Ha portato con sè la pianta che vedete nel vaso, che ha coltivato lui stesso: penso sia quella di peperoni, se non ricordo male. È riuscito a trasportare sul camion anche il pannello solare che aveva deciso di comprare per poter ricaricare i telefoni e avere un po’ di energia elettrica per avere la luce la notte e un ventilatore. Il viaggio non è stato senza pericoli e ha rischiato di morire ma non ho altri dettagli. Ci tenevo ad aggiornarvi visto che avete condiviso la mia preoccupazione l’altro giorno, spero vi faccia piacere.