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La fiaba della mia vita

Forse sei già completamente annoiato di sentire storie natalizie, favole su Rudolf, la renna del naso rosso, oppure su Babbo natale, quel uomo ciccione che solo emette quel verso incomprensibile: ho, ho ho, o su elfi dalle orecchie a punta, slitte magiche che percorrono la volta del mondo in un batter d’occhio, … Ma io oggi ti voglio raccontare una storia vera, unica come la vita di ogni essere umano, e reale come il sole che ci visita ogni mattina. Si tratta della storia natalizia della mia vita, la fiaba della mia piccola vita.

Ciao, mi presento, mi chiamo Prada. Questo buffo nome mi piace tanto e non è messo per caso. La notte in cui sono nata, tra lamiere arrugginite e legno marcio, mi hanno avvolto in un cappotto di lana di vigogna e fodera di seta che aveva una grande etichetta con il nome PRADA. Mia mamma, che era una esperta borseggiatrice, l’aveva preso in prestito a una donna elegante in un caffè nel quartiere Ticinese di Milano. Lei non sapeva nemmeno chi poteva essere questa Miucia Prada, ma aveva avuto una intuizione di quelle che chiamano sesto senso. Aveva la certezza che questa bambina venuta al mondo due giorni prima di Natale aveva il segno della fortuna intagliato nel suo minuscolo cuore. E così aveva detto a tutti: Prada sarà il suo nome. Anche se le sue cugine e sorelle insistevano alludendo che nessuno era mai stato chiamato così a Sarajevo prima d’ora.

Dentro a quella angusta carovana si era riunito un gruppo di donne venute per aiutare nel momento sempre critico del parto, anche perché tutte erano convinte che la loro presenza portava fortuna alla piccola neonata. Quella notte, il freddo gelido colpiva quel piccolo quartiere illegale di Chiesa Rossa intanto che il caldo della vita sorgeva in quel ristretto angolino.

Non so che sorte di fortuna potevo io trovare nella vita, soprattutto con questo inizio originale di povertà e di scarsità. Una mamma con un curriculum vitae molto particolare e un papà che non ho mai conosciuto. Una famiglia errante con un passato pesante. Mio nonno e altri parenti sono stati uscissi nel Pijaca Markele di Sarajevo, il mercato colpito dai bombardamenti serbi nel 1994.

Infatti, poche settimane dopo la mia entrata trionfale in questa esistenza, mia madre è svanita come se la terra l’avesse inghiottita. Per fortuna non ero l’unica che rimaneva da sola in quel campo Rom. C’erano altri bambini, e c’era anche la zia Mirjana di Romania, che era la zia di tutti quei bambini che erano rimasti soli. Vivevamo nella sua baracca in condizioni precarie, senza corrente elettrica e acqua calda. Non avevamo soldi, eravamo poveri e spesso mi sono ritrovata con gli altri bambini a chiedere l’elemosina, oppure mendicare almeno l’unico cibo che entrava in bocca per tutto il giorno.  Mia zia mi portava a mendicare sempre con sé perché avevo una faccia simpatica che attirava la bontà dei passanti.

Ma non sono da sola. Non lo sono stata mai. A dire il vero, questa intuizione-illuminazione che mia madre ha avuto il giorno della mia nascita è stata una rassicurazione tutti i giorni della mia vita sin dall’inizio. C’è sempre stata una presenza amica, calda e luminosa che mi accompagnava in ogni momento, soprattutto quando non c’e la facevo più. Io la chiamavo Xenia (che in Bosniaco significa accoglienza). Lei parlava e scherzava con me quando il buio copriva tutta la luce e tutta la speranza. Quando il freddo mi attorcigliava come la radice di un albero centenario, un soffio di caldo sosteneva il mio sorriso. Quando la fame mi trafiggeva lo stomaco e l’anima, Xenia mi faceva dormire per ore e viaggiare in un mondo fantastico e divertente.

Cosi sono passati i giorni, uno dietro un’altro, le stagioni … e due densi anni che pesano come mille. Ma un giorno torrido di agosto mi sono addormentata completamente esausta. Era da giorni che non mi sentivo bene. Forse troppo stanca, forse ammalata, forse troppo triste. Xenia mi ha visitato nel mio sogno profondo. Mi ha fatto vedere una luce intensa, ferocemente intensa, con una infinità di sfumature, colori e forme. E tra questo ballo di luci e colori riuscivo a scorgere tre uomini che non mi causavano paura (era la prima volta che un maschio non mi faceva spaventare). Xenia li stava guidando verso di me. Mostravano gentilezza e sicurezza. Quando sono arrivati al posto dove mi trovavo, mi hanno stesso la mano e mi hanno detto: Prada, alzati, andiamo a casa.

            Dopo, tutto è successo molto, molto veloce, come quando vai dentro un treno e vedi le case, le macchine, gli alberi come un flash che attraversano i tuoi occhi.  La polizia, … le sirene, … quegli uomini di nero, … l’ospedale, … tanta gente, … grembiuli bianchi, … cibo, cibo buono, doccia calda, profumo di pulizia.

Una casa. UNA CASA VERA… Mi avevano portato in una casa di mattoni e cemento, tegole e travi di legno, verniciata e circondata di siepe, con giardino, orto e fiori, riparata dal freddo e dal caldo, con cucina, rubinetti, water, vasca e lavandino, e una cosa strana che chiamano bidè, … un SOGNO, mia amica Xenia mi aveva portato qua, come la stella del nord guida i navigatori in mezzo alle acque infinite e alle onde ingoia-navi.

            Quando sono arrivata A CASA, era la prima volta che vedevo una casa. Era bella, allegra, luminosa, fresca, con sapore di pulito e di aglio cucinato, di torta appena fatta e di sandalo rilassante. Solo volevo stare in braccio, tutto il tempo e in qualsiasi braccia, perché in tutte le braccia sentivo e trovavo tenerezza e affetto. Solo volevo essere un peluche morbido e pronto ad essere preso e coccolato. Non era una famiglia anche se c’erano bambini piccoli e delle persone che mi curavano con una tenerezza infinita e una sicurezza rassicurante. Non c’era mamma e papa anche se viveva in quella casa una coppia che mi ha accolto come nessun papa e mamma del mondo lo potranno fare mai, con quel affetto che nasce dal cuore ed è libero come il vento.

            Alcune settimane fa mi hanno regalato una custodia con degli occhiali rosa fucsia, perché non ci vedo bene e ho un po’ di strabismo. È la prima volta che ho una cosa che è mia, solo mia, veramente mia. Sono la bambina più felice di questo pianeta. Sono andata a letto con i miei occhiali dentro nella mia custodia, e mi sono addormentata stringendo la custodia contro la mia pancia e borbottando: sono a casa, … la mia casa, … la nostra casa. Non so se ero sveglia o era un sogno, oppure forse era Xenia che parlava con me e mi rassicurava sussurrando che ho il segno della fortuna intagliato nel mio cuore. La fortuna del Natale.

Oggi è il mio compleanno, e tutta la gente di questo piccolo pianeta si prepara a festeggiare un avvenimento importante. I cristiani festeggiano la nascita di Gesù. Gli ortodossi orientali fanno la festa della Epifania con i tre re magi che manifestano l’arrivo del messia a questa umanità. Gli Ebrei celebrano il Hannukkah che ricorda la consacrazione del secondo tempio di Gerusalemme. Le religioni celtiche antiche applaudono l’inizio della crescita delle ore di luce dei giorni dopo il solstizio d’inverno. I Romani festeggiano i Saturnali dedicati all’insediamento nel tempio di Saturno, dio dell’agricoltura, per augurare prosperità. I musulmani commemorano il Mawlid. I buddisti fanno la festa di Vesak … E Io solo, … io solo voglio festeggiare l’accoglienza.

Per me, Natale e accoglienza sono sinonimi. Ho saputo che accoglienza è una parola che deriva da “a-cco-gliere”, cioè dal latino ad-cum-legere, “raccogliere insieme per un destino comune”. Ma questo non è forse il significato del cammino di noi umani sulla terra?

            Mi chiamo Prada, accolta dalla vita, dalla umanità, dalla bontà, … da questa comunità, e questo sarà il senso e la forza della mia esistenza.  GRAZIE, CASETTA DI TIMMI.