C’ero anche io al festival Liberabile. È stato per me un momento così pieno di emozioni, così denso di contenuti e di significati che faccio fatica a mettere tutto in fila per rielaborare quello che è avvenuto. La mattina di sabato 20 aprile 2024 è per me un momento da ricordare. Per questo ho voluto scrivere la data in modo completo perché sono certo che anche in futuro sarà considerata una tappa importante del nostro cammino.
Oggi, quando mi sono alzato dal mio caldo lettuccio, dopo che anche nel sonno avevo digerito qualcuna delle immagini e delle emozioni di ieri mattina, ha preso forma il desiderio di scrivere qualcosa di quello che l’esperienza di ieri mi ha smosso, per non lasciarla cadere e per comunicarla anche ad altri attraverso il diario di Com’involo.
La prima cosa è una grande riconoscenza per chi ha organizzato in questo modo, con questa impostazione, basata sul protagonismo di tutti, il festival e per chi ha partecipato mettendo in gioco sé stesso con la propria storia.
Una delle convinzioni che mi sono portato a casa è che anche io sono Liberabile. Se guardo con occhi diversi, se faccio un po’ di spazio accanto per chi, per qualsiasi fragilità, se ne sta fuori, è più facile per me prendere coscienza delle zavorre che mi appesantiscono e alleggerirmene. Ed è stato un po’ così anche ieri mattina.
E ancor di più è Liberabile tutta la comunità sociale, quando si accorge e fa spazio a chi è stato lasciato da parte. E qui le zavorre di cui il nostro modo di vivere, di essere società (assieme a cose che ci piacciono o che accettiamo) dovrebbe liberarsi non sono poche. Anche perché siamo noi che lasciamo fuori chi non ce la fa, per diversi motivi, a star dentro al nostro tran tran, che a volte sta stretto ed è opprimente anche per noi. Se apriamo la porta cambiamo un po’ le regole, non scritte o scritte che siano: sono modi di fare inconsapevoli che ci imprigionano. Questo ho sentito, questo ho ricordato, questo ho capito meglio grazie al Festival. Sentire la parola inclusione alla fine mi sembrava un limite. In realtà far spazio a chi ne ha diritto è un percorso di liberazione collettiva di tutti e per ciascuno. Anche per questo ringrazio chi ha pensato e poi organizzato il festival. Liberabile è una visione che apre a responsabilità e crescita collettiva. Per tutti.
E anche Comin è Liberabile. Abbiamo la fortuna, che è anche una grande responsabilità, di avere ogni giorno le mani in pasta, di poter lavorare per aprire le porte, accogliere e dare prospettiva. Guai se anche noi smettiamo di liberarci quotidianamente grazie a questi incontri. Diventiamo sterili. Per questo mi piacerebbe che Liberabile diventasse per Comin una nuova parola d’ordine, da mettere affianco alle altre che hanno costruito e sintetizzato la Nostra storia.
Mi piacerebbe adesso riuscire a nominare qualcuna delle immagini e delle sensazioni, anche se sono così tante e in parte ancora da mettere in ordine. Ma qualcosa è meglio di niente; altri potranno arricchire. Anzi chiedo a Com’involo di cercare di raccogliere dai partecipanti i materiali presentati, i video, le parole, i gesti, i prodotti, le azioni, le foto … per metterle a disposizione anche di chi non c’è stato, anche se non sarà la stessa cosa. E per facilitare il ricordo e la memoria.
La presentazione delle esperienze in salone, anche per le modalità usate, la vivacità, le emozioni è stata arricchente e appassionante. Una carrellata di ben dieci esperienze, il Servizio Educativo Scolastico, Rhoasi, Percorsi insieme, Servizio Educativo Domiciliare, Deltaplano, Segurlab, Case del Tempo, Affido; Condominio solidale il pane e le rose, Suono risuono sono Lab… è riuscita ad essere un momento leggero e che ha tenuto sempre vigile la mia attenzione.
Quante impressioni, che spero sarà possibile avere ancora a disposizione. Io qui ne esprimo solo alcune. Quelle che ricordo di più. La prima cosa che mi ha colpito è la frase detta da più di uno: ricordo un’anziana della casa del tempo e un ragazzo di Deltaplano: Quando vado lì sono me stessa, me stesso. Non è facile, forse ancor di più per chi ha qualche fragilità, essere se stessi senza paura. Se trovi un luogo comunitario che ti accoglie la paura se ne va. Accogli te stesso e riesci a mostrarti agli altri come sei.
Le nonne della Casa del tempo che intorno ad un arcolaio tessono un filo comune mentre una registrazione trasmette le loro voci che raccontano il loro esserci nella Casa.
Forte anche la testimonianza riconoscente dei genitori dei ragazzi di Deltaplano.
La timidezza di alcuni ragazzi che hanno raccontato le loro conquiste, che piano piano passava e rendeva la voce più forte e chiara. L’entusiasmo degli educatori e delle educatrici, che a volte è sopraffatto dalle tante difficoltà di portare avanti questo lavoro, mentre ieri si accendeva di una passione bruciante e orgogliosa, nel presentare e dare parola ai loro ragazzi (anche le signore della Casa del Tempo spesso definite ragazze!). Il fotoromanzo di Segurlab … e tanto altro ancora.
E poi quando siamo tornati in giardino le sorprese non sono finite. La performance della band Banana tribe del progetto Suono, risuono, sono lab coinvolgente, trascinante e …professionale. In tutti una voglia di seguire il ritmo della loro musica con gioia. Un’altra bellezza davvero inaspettata. E ci hanno invitato ad un concerto che terranno nel mese di giugno a Mosso.
E poi tante chiacchere mentre gustavamo il cibo preparato come al solito dai ragazzi di Deltaplano.
Me ne sono andato alleggerito e riconoscente. Grazie davvero!!!